Ci sono momenti cruciali della vita di ciascuno di noi, che ti travolgono come un uragano, la vita decide per te e non si può far altro che attraversare la tempesta.
Partiamo da soli, perché il percorso del dolore è e rimane intimo, molto personale, ognuno di noi si interfaccia con esso a suo modo, e a volte anche in un modo che non conosce e non immaginava.
Ognuno "attraversa il suo dolore, ci arriva fino in fondo, anche se sarà pesante come sollevare il mondo, si accorgerà che il tunnel è soltanto un ponte, e basta solo un passo per andare oltre" cit.
La pandemia ci costringe ogni giorno ad avere paura del contatto, ad avere paura degli abbracci, a volte ad avere paura delle persone a cui vogliamo bene e contemporaneamente ci fa sentire potenzialmente pericolosi per i nostri figli, genitori, amici.
E ci troviamo a non poter fare quello che d'istinto faremmo, quando sentiamo che altri hanno bisogno di noi: essere lì, fisicamente presenti, anche senza parlare.
Eppure credo che le "energie positive" che si generano tra gli essere umani, l'esser stati accanto, l'aver condiviso momenti di crescita, idee, progetti, creino un fluire di emozioni capaci di superare il tempo e lo spazio; questo vale per tutti quelli che ci accompagnano nel nostro percorso di vita che siano genitori, insegnanti, compagni/e, figli, amici.
E anche se la distanza, cui ci costringono gli eventi, è tangibile e a volte dolorosa, per esserci bisogna esserci, bisogna "sentire" l'altro, non occorre stare accanto, per sentirsi vicini.
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